sabato 23 agosto 2008

Superconcentrato delle attuali conoscenze sulle origini dell’Uomo

La Paleontologia Umana o Paleoantropologia, cioè lo studio sulle origini dell'Uomo, è una scienza molto recente sopratutto a causa di due “tabù” che in passato ne hanno ostacolato, anche nell’ambiente scientifico, la ricerca e la divulgazione. Mettere in dubbio il racconto biblico della genesi, cioè la storia di Adamo ed Eva, e supporre che l’uomo derivasse dalle scimmie non poteva che provocare un vero trauma culturale.

Fu proprio un pugliese il primo che “s’azzardò” a pubblicare la sua convinzione della provenienza dell’uomo dalla scimmia e proprio per questo ci rimise la pelle. Nacque a Taurisano in provincia di Lecce nel 1585 e si chiamava Giulio Cesare Vanini. Medico e monaco, nel 1616 pubblicò un saggio in cui tra l’altro avanzava la predetta tesi: tre anni dopo, a Tolosa in Francia, fu condannato per eresia al taglio della lingua e al rogo.

Qualcosa comincerà a muoversi verso la fine del ‘700, secolo dei lumi, e sopratutto nell’800. Lo studio dei resti di animali preistorici estinti e delle selci lavorate rinvenute frammiste ad essi aveva già fatto ipotizzare la presenza di uomini “antidiluviani” molto antichi, finchè, nel 1856, fu trovata in Germania, insieme ad altre poche ossa, una stranissima calotta cranica umana.

Apparteneva ad un uomo molto diverso da noi che prese il nome del luogo in cui fu trovato, la valle (thal) di Neander, cioè di Neanderthal. Quasi contemporaneamente Darwin pubblicava le sue nuove teorie sull’evoluzione della specie. Nonostante le scontate reazioni negative che questi due fatti e altre successive scoperte provocheranno, era nata, sia pure in ambiente molto ristretto, la nuova scienza che indaga sulle nostre origini e che oggi con mezzi sofisticatissimi e attendibilissimi intravede le nostre radici fino a tempi “profondi” milioni di anni.

La scoperta tedesca mostrava un uomo con alcune più spiccate analogie con le scimmie, ma era pur sempre un uomo!

Occorreva trovare un vero “Pitecantropo” (pitecus: scimmia – antropos: uomo) cioè uno scimmia-uomo che costituisse l’anello mancante o l’anello di congiunzione che dir si voglia tra noi e gli altri primati.

La scienza è come la buona tavola: incrementa l’appetito!

Verso la fine dell’800 avviene un fatto incredibile. Un giovane medico olandese, Eugene Dubois, colpito dalle affinità anatomiche tra l’uomo e il gibbone, si convince che antichi esemplari di questi ultimi hanno dato luogo alla progenie umana. Nel 1887 si dirige a Giava perchè unica isola abitata dai gibboni e priva di oranghi e si mette a scavare aiutato da alcuni suoi connazionali. Comincia a trovare abbastanza presto ossa e denti molto interessanti e dopo quattro anni una calotta che gli sembra di uno scimpanzè fino a quando ne scopre il femore che dimostra la sua posizione eretta.

Aveva trovato proprio quello che cercava e chiamò il “suo” uomo Pithecanthropus erectus (uomo scimmia eretto). In pratica aveva trovato quello che noi chiamiamo Homo Erectus anche se alcuni scienziati odierni non lo considerano ancora un uomo. Oggi sappiamo che gli insediamenti dei gibboni nulla hanno a che fare con la presenza di fossili di questo tipo.

Poco più di quarant’anni dopo furono trovati in Cina i reperti del famoso Uomo di Pechino perfettamente analoghi a quelli del Dubois e che purtroppo andarono dispersi durante la seconda guerra mondiale.

La paleoantropologia aveva finalmente documenti inoppugnabili sulle origini “bestiali” dell’uomo eppure rimanevano ancora nel vasto pubblico forti resistenze di natura prevalentemente teologica.

Ancora nel 1925, nei “liberi” Stati Uniti, un insegnante di scienze naturali fu condannato a pagare una multa di 100 dollari, che allora erano soldi, “per aver insegnato in modo criminale che l’uomo discende da un ordine inferiore di animali”.

Di fatto la paleoantropologia rimarrà un campo riservato a pochi addetti ai lavori e i risultati saranno conosciuti solo dal pubblico più colto e attento per gran parte del ‘900. Uno stato di cose in fondo comprensibile considerato che fin quasi al 1960 gli uomini primordiali conosciuti si potevano contare sulle dita di una sola mano e che i relativi frammenti, unica documentazione scientifica sull’evoluzione “fisica” umana, erano tanto “abbondanti” da poter riempire sì e no un paio di cartoni.

Nel 1924, in Sudafrica fu anche rinvenuto il cranio di un giovanissimo “Australopiteco”, che significa scimmia australe. Era bipede come noi e aveva caratteristiche intermedie tra le attuali scimmie antropomorfe e l’uomo. Si tratta del primo di una lunga serie di pre-umani dalle caratteristiche anche molto diverse tra di loro rinvenuti tutti in Africa e perciò tutti denominati australopitechi.

Sin dal 1911 una vasta regione Africana cominciò ad attirare l’attenzione dei paleontologi, cioè degli studiosi di fossili animali: si tratta della famosa Rift Valley, un grande depressione lunga oltre tremila chilometri sul lato est del continente che investe l’Etiopia, il Kenia e la Tanzania fino ad arrivare al Mozambico. Nel corso degli ultimi venti milioni di anni questo vasto territorio ricco di vulcani, di laghi e di paludi ha creato condizioni non solo ideali per lo sviluppo della vita ma anche particolarmente favorevoli per la fossilizzazione.

A cominciare dal 1930 i paleontologi Luois Leakey e Mary sua consorte, attirati dagli interessanti affioramenti risalenti a circa due milioni d’anni fa nella gola di Olduvai in Tanzania, si dedicarono ad una esplorazione approfondita della zona che portò nel 1959 alla scoperta di un pre-umano molto robusto da loro denominato Australopithecus Boisei.

Nel 1961 realizzano un’altra clamorosa scoperta: il cranio molto più evoluto del precedente, tanto da presumere la sua appartenenza ad una nuova specie umana, la più antica che si conosca. Undici anni dopo un altro ritrovamento molto più completo di questa specie, questa volta in Kenia, confermerà che questo primo uomo viveva circa 1,8 milioni di anni fa e che aveva una capacità cranica superiore del 50% rispetto agli australopitechi, tanto da far ipotizzare persino l’inizio dell’uso della parola. Si scopre anche che realizzava strutture abitative e che quindi aveva già raggiunto un livello culturale abbastanza complesso. Si chiamerà Homo Habilis.

La Rift Valley diventa così “l’eldorado dei paleontologi e dei paleoantropologi”. A partire dagli anni ’60 si organizzano, specialmente da parte degli anglosassoni, spedizioni con grande dispiegamento di uomini e mezzi e i risultati saranno gratificanti: oltre al secondo homo habilis già menzionato e a numerosi altri importanti ritrovamenti si scopre nel ‘74 in Etiopia la ormai famosa Lucy, l’australopiteco allora più antico risalente ad oltre 3 milioni di anni fa (nome di battesimo Australopithecus Afarensis) e nel’78 in Tanzania a Laetoli una serie di impronte bipedi su ceneri vulcaniche di estremo interesse e della bella età di 3,5 milioni d’anni.

Si rinvengono anche alcuni Homo Erectus molto più antichi di quelli che abbiamo già conosciuto a Giava e in Cina; pare ormai certo infatti che anche questi ultimi, come tutti gli altri sopramenzionati abbiano avuto origine in Africa.

Insieme alla ricchissima documentazione di nuove strutture ossee la Rift Valley ci ha donato un altrettanto abbondante e interessante repertorio di utensili costituiti pietre lavorate che hanno consentito di scoprire un fatto sorprendente: i primi ciottoli grossolanamente lavorati risalgono a circa 3 milioni di anni fa, anteriori quindi alla comparsa del primo uomo avvenuta 500.000 anni dopo!

Ciò dimostra che alcune specie di pitecantropi, da noi considerati ancora scimmie, avevano raggiunto un livello sociale e culturale sorprendente.

L’abbondanza e la varietà dei reperti ossei di australopitechi rinvenuti nella Rift Valley e molto recentemente in Sudafrica hanno dato luogo ad un quadro evolutivo molto complesso costellato anche da diverse diramazioni genealogiche che si sono rapidamente estinte.

La loro posizione eretta non poteva consentire una velocità tale da sfuggire ai grandi predatori della savana: si presume che riuscissero a tenerli a bada con il lancio delle pietre e l’uso di bastoni rimanendo ovviamente in gruppi compatti. Tutti gli animali hanno terrore delle sassaiole.

E’ certo che già oltre un milione d’anni fa perfino i leoni, che pure vivono in branco, temevano gli ominidi. Ancora oggi basta la sola presenza di un bambino a tener lontani i leoni dalle mandrie dei Masai.

E l’Homo sapiens? In base alle testimonianze raccolte sono esistite, secondo gli studiosi, due sottospecie entrambe apparse, tanto per cambiare, in Africa. La prima in ordine di tempo, l’homo sapiens neanderthalensis già menzionato, arriva in Europa in un periodo non ben definito risalente, si presume, a circa 200.000 anni fa e risulta estinta da 35.000 anni; l’altra, l’homo sapiens sapiens alla quale noi apparteniamo, compare in Medio Oriente 100.000 anni fa proveniente, come si è detto, dall’Africa, lascia le sue prime tracce in Europa quasi 70.000 anni fa e...siamo gli unici a non essere estinti o meglio a non esserci “ancora autoestinti”.

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